CAMBIO DI DESTINAZIONE D’USO

Per destinazione d'uso, in urbanistica, s'intende l'insieme delle modalità e delle finalità di utilizzo di un manufatto edilizio. In realtà, tale espressione a volte si utilizza anche con riferimento ad un intero comparto urbanistico. Esempi tipici di destinazioni d’uso sono quella residenziale, quella commerciale o quella industriale. 

Spesso si ha l’esigenza di dover mutare la destinazione d’uso per la quale un edificio è stato originariamente progettato, realizzato ed utilizzato. Si può, ad esempio, decidere di trasformare degli uffici a piano terra in abitazioni oppure viceversa, un altro caso può essere quello della trasformazione di un loft industriale in un grosso e moderno appartamento. A seconda che il mutamento comporti o meno l'esecuzione di opere edilizie, la modifica dell'originaria destinazione d'uso di un fabbricato necessita di differenti procedure autorizzative.

Dapprima bisogna accertarsi se in quella determinata area, il PRG – Piano Regolatore Generale, prevede la possibilità di un cambio di destinazione d’uso, infatti tali trasformazioni potrebbero, non essere permesse in determinate aree, quindi bisogna sempre effettuare le opportune verifiche. Nel caso in cui il Comune di riferimento non disponga di un piano regolatore, oppure lo abbia modificato recentemente e si trovi quindi in una fase transitoria, allora bisogna recarsi presso gli uffici preposti. Tale procedura ha comunque bisogno di sussistenza da parte di un Tecnico abilitato anche solo quale interfaccia con l’amministrazione comunale.

Una volta ottenuto il via libera al cambio di destinazione l’iter si differenzia a seconda che il mutamento preveda o meno anche la realizzazione di opere. 

Il cambio destinazione d’uso del patrimonio edilizio esistente, che si consegue attraverso la realizzazione di opere, può essere definito come mutamento strutturale ed in tal caso, deve essere realizzato attraverso il Permesso di Costruire oppure mediante DIA.

Il cambio di destinazione d’uso invece, del patrimonio edilizio esistente, che si consegue senza la realizzazione di opere, può essere definito mutamento funzionale ed in tal caso, può essere realizzato semplicemente attraverso la Segnalazione Certificata Inizio Attività – SCIA, è in genere oneroso e l’onere da riconoscere al Comune dipende dal tipo di costruzione e dal suo impatto stimato sui servizi pubblici e i consumi di servizi. 

Unitamente alla richiesta di cambio di destinazione d’uso, qualora lo stesso venga accettato dal Comune di competenza, un tecnico abilitato presenterà la nuova pratica al Catasto per essere aggiornato con l’indicazione delle modifiche edilizie realizzate ed ovviamente il cambio di destinazione d’uso.

La normativa che disciplina il cambio di destinazione d’uso è storicamente caratterizzata da oggettive incertezze applicative, derivanti dalle differenti discipline regionali e dalla frammentazione delle regole contenute negli strumenti urbanistici locali. La variazione dei carichi urbanistici rappresenta il punto centrale della tematica, ovvero l’inevitabile necessità di adeguamento delle esigenze urbanistiche di una zona che generalmente consegue ad un cambio di destinazione d’uso.

Fino a qualche tempo fa era unicamente il D.P.R. 380/2001 “T.U. Edilizia”, che in due articoli indicava la disciplina applicabile ai cambi di destinazione d’uso. Il primo articolo di fondamentale importanza del Testo Unico è senza dubbio l’art. 10, comma 2, con il quale viene attribuita alle Regioni la facoltà di stabilire quali cambiamenti della destinazione d’uso sono mutamenti subordinati a Permesso di Costruire o a SCIA.

Il successivo articolo 32, invece, prevede che le stesse regioni stabiliscano quali sono le condizioni che determinano le “variazioni essenziali” al progetto approvato con un Permesso di Costruire, comprendendo fra questi anche i mutamenti della destinazione d’uso che implichino una variazione degli standard previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968.

Con le semplificazioni recenti introdotte dal Decreto Sblocca Italia si è verificato un parziale cambio della disciplina applicabile al cambio di destinazione d’uso e più precisamente, il riferimento è al nuovo art.23-ter del Testo Unico dell’Edilizia - D.P.R. 380/2001. Leggendo il nuovo articolo risulta chiaro come costituisca cambio rilevante della destinazione d’uso “ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale” inserita in un catalogo ben definito. Il catalogo contempla 4 categorie funzionali che coincidono con la loro destinazione d'utilizzo:

  • Residenziale e turistico-ricettiva;

  • Produttiva e direzionale;

  • Commerciale;

  • Rurale.

Il nuovo articolo 23-ter afferma, inoltre, che è sempre possibile il cambio della destinazione d'uso all'interno della stessa categoria funzionale, salvo diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali. Se un immobile è invece destinato contemporaneamente a 2 categorie funzionali diverse, a tal proposito, è bene ricordare che la destinazione d'uso di un fabbricato o di una unità immobiliare è quella prevalente in termini di superficie utile. Pare quindi evidente come tutto il sistema ruoti intorno al concetto chiave di “categoria funzionale”, quale elemento che determina la rilevanza del cambio destinazione d'uso.

Sono diversi i costi da sostenere per un cambio di destinazione d'uso e le spese più frequenti sono tipicamente 3:

  • Gli oneri necessari per i lavori, sempre presenti nel caso in cui si debba far fronte a degli interventi edilizi;

  • Le spese relative agli onorari dei professionisti, che possono variare molto a seconda che servano solo le pratiche urbanistiche o catastali o che si debba anche seguire la reale esecuzione dei lavori (la Direzione Lavori);

  • Le uscite da sostenere per il pagamento degli oneri di urbanizzazione.

In realtà, quest’ultima spesa è strettamente legata al maggior carico urbanistico determinato dalla nuova costruzione, se il mutamento non comporta alcun incremento del carico urbanistico, il pagamento dei relativi oneri non è dovuto in quanto privo di causa.

Una volta seguito l’iter procedurale descritto sopra, l’Ente competente in materia, rilascerà il cambio di destinazione d’uso e quindi contestualmente alla modifica della categoria edilizia varierà anche la rendita catastale dell’immobile necessaria per il calcolo delle imposte quali Imu, Tari, Tasi, ecc.

In ultimo bisognerà effettuare richiesta del certificato di agibilità al Comune di riferimento, fornendo la specifica documentazione che attesti ogni procedura eseguita in precedenza, compresa l’eventuale Certificazione Energetica ottenuta, sempre avvalendosi di un Tecnico abilitato.